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Sara Penzo, portiere del Brescia e della Nazionale femminile, si racconta a nads

Sara Penzo

Sara Penzo, giovane portiere della Nazionale maggiore e neo acquisto del Brescia, ci introduce in un mondo in Italia poco seguito e conosciuto: quello del calcio femminile. Come si avvicinano le ragazze al pallone? Quali sono i sacrifici richiesti alle giovani promesse per poter raggiungere alti livelli? Quanto pesa l’ombra del calcio maschile? Andiamolo a scoprire grazie all’estremo difensore azzurro che, prima degli impegni ufficiali (il 9 settembre per la Supercoppa italiana e dal 22 in campionato), ha cortesemente risposto a queste e ad altre domande.

 

Sara, a che età e come hai cominciato a giocare a calcio? 

Ho iniziato a giocare a calcio in prima elementare quando avevo solo 5 anni. Da piccola ero un po’ un maschiaccio e spesso vedevo i miei amici del paese andare a giocare a pallone mentre io dovevo restare fuori a guardarli. Poi mi sono detta: “perchè non farlo anch’io?”. E il ruolo, beh, ho cominciato fin da subito in porta perché mi buttavo ovunque e mi è venuto naturale, quando ho iniziato con i primi calci del mio paese, mettermi tra i pali senza paura di tuffarmi anche se ci allenavamo sul cemento, al coperto.

Quando hai capito che la tua passione sarebbe diventata qualcosa di più di un semplice un passatempo?

Fin da piccola ho sempre sognato che il calcio potesse diventare qualcosa di più, ma me ne sono resa conto solo alle prime presenze in Nazionale. Sai, una volta che cominci ad indossare la maglia azzurra… credo che quello sia il momento di pensare che non sia più solo un passatempo.

A 17 anni hai esordito in Serie A con la Torres. E’ stato difficile trasferirsi dal Veneto in Sardegna?

L’esordio in serie A direi che è stato uno dei momenti più belli della mia carriera calcistica. Trasferirsi a 17 anni in Sardegna dal Veneto non mi è mai pesato perché quando si sta avverando il sogno di giocare in serie A, in una delle squadre più forti d’Italia, non pensi a tutto quello che sacrifichi per viverti quel momento. Comunque sono stata anche fortunata ad avere una famiglia che mi ha sempre sostenuta, mi è sempre stata vicina e che, anche se ero distante, ad ogni trasferta in penisola, veniva a sostenermi.

Quali altri sacrifici hai dovuto fare per coltivare la tua passione e per arrivare a giocare prima con la Nazionale Under 19 e poi con quella maggiore?

I sacrifici sono stati tanti. Purtroppo, quando hai una passione come la mia che ti costringe spesso a essere distante da casa, sei costretta a rinunciare a qualcosa. Devi sacrificare amici, divertimenti e tutte quelle cose che, specialmente durante l’adolescenza, fanno tutti gli altri coetanei. Invece tu non puoi e non vuoi, per inseguire i tuoi sogni e le tue responsabilità. Di sicuro posso dire che tutto quello che ho fatto fino ad ora lo rifarei, perché sono felicissima di essere dove sono. Il calcio ti fa crescere, ti aiuta a rapportarti con le persone e quindi ti permette di migliorare anche a livello umano, non solo sportivo.

Il calcio femminile vive purtroppo all’ombra di quello maschile. L’impegno richiesto è lo stesso? Quanto vi allenate settimanalmente?

Si, il calcio femminile vive proprio nell’ombra del calcio maschile, anche se dobbiamo fare gli stessi sacrifici e ci viene richiesto lo stesso impegno a livello di allenamenti. Abbiamo sedute tutti i giorni come la Serie A maschile, solo che noi siamo spesso costrette a lavorare per mantenerci, perché di solo calcio non riusciamo a vivere. Per lo meno non in Italia purtroppo.

A tal proposito: hai giocato una stagione in Svizzera, nel Basilea. Quali sono le differenze principali tra il calcio femminile in Italia e all’estero?

La scorsa stagione a Basilea è stata la mia prima esperienza all’estero ed è stato bellissimo rapportarsi con il professionismo. Il calcio femminile italiano è ancora dilettantistico e la differenza principale è proprio quella. Si nota subito come il solo essere delle professioniste porti ad avere tanti vantaggi, a livello di strutture e di organizzazione, che in Italia fatichi ad avere. A livello di calcio giocato invece, posso dire che in Svizzera il livello agonistico è alla pari di quello italiano, con la differenza che hanno la mentalità tedesca e quindi si pratica un calcio un po’ più fisico, anche se meno tecnico del nostro. La Svizzera in ogni caso è sicuramente una nazione in via di sviluppo per quanto riguarda il calcio femminile.

Cosa serve secondo te per far aumentare la popolarità del calcio femminile?

Per aumentare la popolarità non saprei, perchè stiamo cercando di farci spazio da sempre in Italia. Credo che purtroppo la mentalità degli italiani sia concentrata solo sul calcio maschile e che sarà difficile cambiarla come sta avvenendo ormai in tutto il mondo. Penso comunque che questo non sia solo un problema del calcio femminile, ma di tutti gli sport che sono considerati minori semplicemente perché non sono “calcio maschile”.

In quali nazioni il calcio femminile gode di maggior interesse in termini di pubblico?

Le nazioni che seguono maggiormente il calcio femminile sono USA, Germania e i paesi nordici come Svezia e Norvegia. Lì la mentalità è diversa: le donne godono di completa considerazione e hanno la possibilità di crescere giocando a calcio senza avere impedimenti di alcun tipo. Ne risulta che i loro campionati sono i più forti e i più competitivi del mondo.

Quali sono i tuoi obiettivi per questa stagione e per il futuro più prossimo?

Questa stagione indosserò la maglia del Brescia e ne sono onorata. Ho voglia di mettermi in gioco appieno sperando di togliermi molte soddisfazioni, a partire dalla Supercoppa del 9 settembre contro la Torres. In campionato spero di poter lottare per le prime posizioni della classifica in modo da riuscire ad entrare in Champions League la prossima stagione. Ovviamente mi auguro poi di continuare il mio percorso con la Nazionale in vista dei campionati europei del 2013 in Svezia. Insomma, quest’anno tanti impegni e tanti traguardi da raggiungere. Incrocio le dita per tutto.

Noi incrociamo le dita con lei e facciamo un grande in bocca al lupo a Sara per il proseguo della sua carriera.

Un grazie di cuore all’amica Silvia Simoni per aver reso possibile l’intervista.

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