Playground: quando il basket scende in strada

Bastano un canestro e un pallone, poi si inizia a giocare. Nei parchi e nei campetti di quartiere di tutta Italia, quella dello street basket è diventata ormai una tendenza. Il movimento è partito ovviamente dagli USA, patria della pallacanestro, dove i ragazzi dei quartieri poveri che non potevano permettersi di entrare a far parte di una società sportiva si riunivano in nome dell’amore per lo sport. Oggi nei playground (così vengono chiamati in gergo i perimetri di gioco) della penisola si riuniscono appassionati di ogni età e razza per passare qualche ora di svago e divertimento.

Dall’uno contro uno a un solo canestro, alla partita a tutto campo cinque contro cinque, i cestisti di strada si sfidano con le loro regole e il loro spirito amichevole che favorisce l’aggregazione tra culture diverse soprattutto nelle grandi città. Le differenze rispetto al basket ufficiale non sono molte. Di solito la palla dopo essere andati a canestro rimane a chi ha segnato il punto anziché agli avversari o non sono previsti tiri liberi quando si subisce un fallo. Al di là di questi dettagli, ciò che colpisce chi passeggia nei pressi di un campo in cui si sta svolgendo un match di street basket, è la voglia di stare insieme dei ragazzi e di misurarsi con l’altro senza distinzioni. Questo l’hanno capito anche molte amministrazioni comunali e i gestori dei lidi che organizzano annualmente manifestazioni e tornei di street basket nelle proprie piazze o in riva al mare. Certo, il più forte si diverte anche a sbeffeggiare chi ha meno qualità, però questo rientra nello spirito della pallacanestro giocata su campi di cemento.

In molti vestono canotte delle squadre dell’NBA e siamo certi che, mentre vedono entrare una tripla o vanno a segno in penetrazione subendo un fallo, per qualche istante sognino di essere altrove immaginando che il piccolo gruppetto di persone che si è fermato per vederli in azione sia una folla pronta ad esplodere al canestro decisivo. Qualcuno magari rammenta Rafer Alston, che dall’essere un idolo di chi lo vedeva destreggiarsi nei tornei del Rucker Park di Harlem, si è ritrovato a calcare i parquet della lega professionistica più importante al mondo. Gli speaker delle competizioni di strada lo chiamavano “Skip to my Lou” per la sua capacità nel dribblare (skip) ogni anima che si metteva tra lui e il cesto. Riuscire ad emulare la sua carriera è praticamente impossibile, ma staccare la spina dai pensieri e dai problemi quotidiani andando a fare due tiri nel campetto in fondo alla via no. Senza l’onere di dover racimolare gente o prenotare campi, basta avere la voglia giusta, raggiungere il playground più vicino e dare il via alla sfida.

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