Il calcio dilettantistico visto da un dilettante: intervista a Daniele Orlandini

Daniele Orlandini con la maglia della Bagnolese

Oggi facciamo un tuffo nel calcio dilettantistico incontrando Daniele Orlandini, ventinovenne capitano della Bagnolese, formazione militante nel girone D della Lega Nazionale Dilettanti, che ci aiuta a fare una panoramica su quel mondo che sta subito al di sotto del professionismo e che coinvolge migliaia di appassionati in Italia.

Daniele, da quanti anni giochi a calcio?

Da sempre. Mio zio allenava i primi calci della squadra del mio paese (Castelnovo Monti n.d.r.) e già all’età di 6 anni ho iniziato la scuola calcio. La mia prima vera esperienza calcistica è stata però nell’A.C. Reggiana, che ai tempi militava in serie A. Con i granata ho giocato dai 14 ai 17 anni, fino agli allievi nazionali.

Durante la tua carriera quanti giovani hai visto lasciare il calcio agonistico e perché?

Pensando ai tempi in cui militavo nel settore giovanile non ricordo molti compagni di squadra che hanno lasciato il calcio. Il problema dell’abbandono giovanile in quegli anni era molto meno significativo. Quindici-vent’anni fa c’era molta meno esasperazione di quanto ci sia oggi, problema genitori in primis. Credo che questo influisca molto sull’attuale tasso di abbandono giovanile dello sport.

Tu in ogni caso non ci hai mai pensato a lasciare: cosa ti ha spinto a continuare a giocare nonostante gli impegni di studio e lavoro?

Sicuramente la grande passione per il calcio, che ancora oggi è viva, e, anch’esso importante, il fatto che grazie al calcio mi sentivo stimato e riconosciuto.

Qual è l’impegno richiesto nella tua categoria e cosa ti porta a fare tali sacrifici?

La serie D è un campionato molto impegnativo: 4-5 sedute settimanali pomeridiane, spesso una giornata con doppia seduta, e domenica trasferte di 250-300 km. Direi che un impegno del genere ha molto poco di dilettantistico e assomiglia più ad un impegno da professionista. Il problema si pone nel conciliare l’attività calcistica con un lavoro o con l’università, ma in ogni caso non l’ho mai visto come un sacrificio.

Come sei riuscito a coniugare studio e lavoro?

Arrivare alla laurea in ingegneria è stato molto difficile perchè quando a 22-23 anni ti appresti a realizzare il sogno della tua vita, quello di diventare un giocatore professionista, tutto il resto passa in secondo piano. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia che non mi ha mai forzato nelle scelte, ma che mi ha sempre indicato la strada e se oggi sono ingegnere e masterizzando in management sportivo lo devo anche a loro che nei momenti difficili mi hanno motivato a non mollare. In più, per tutto il 2011, ho lavorato come impiegato in un’importante azienda Reggiana (Emak) e questo è stato possibile solo grazie alla lungimiranza del mio attuale mister che si è rifiutato di fare allenare una squadra di dilettanti nel pomeriggio. Io sono l’esempio che studio, lavoro e sport, seppur con qualche difficoltà, sono conciliabili. Penso in ogni caso che l’Italia nel prossimo futuro si debba fornire di nuovi modelli per favorire la comunicazione tra scuola e sport che fino ad oggi non si sono mai confrontati. A tal proposito mi viene in mente ad esempio la creazione di licei sportivi o di poli universitari stile USA.

Una serie più in alto e si è professionisti. Quali sono le differenze maggiori?

Le differenze, come dicevo sopra, sono solo di carattere giuslavorativo. Il calciatore professionista è un lavoratore a tutti gli effetti con un sindacato proprio e copertura assicurativa e previdenziale. Il calciatore dilettante, così come tutti gli sportivi dilettanti (del pallavolo e del rugby ad esempio) ancora oggi non si sa come inquadrarlo e questo problema deve essere sicuramente affrontato dalle istituzioni competenti in quanto lo sportivo dilettante non ha nessun tipo di tutela.

In questo quadro è un tema caldo anche quello degli stipendi dato che nelle categorie dilettantistiche non ci sono formule contrattuali standard creando terreno fertile per il lavoro nero…

Il problema stipendi per i dilettanti è un tabù, nessuno ne vuole parlare. Prima o poi qualcosa però si dovrà fare perchè nel calcio dilettantistico, ma non solo, dato che capita in tutti gli sport non professionisti, girano cifre che, soprattutto in questo momento economico, non hanno nessuna attinenza con la realtà. Non ho la soluzione ma sicuramente è un tema che meriterebbe di essere affrontato sedendosi a un tavolo e iniziando a discuterne prima che Equitalia arrivi nelle case di tutti gli sportivi dilettanti. Però siamo in Italia e quindi penso che fino a quel momento nessuno ne parlerà…

Si è parlato poco tempo fa di ridurre le squadre di Lega Pro.  Come vedi il futuro del calcio dilettantistico se si riverseranno in D tutte le squadre non ammesse alla categoria superiore?

Sicuramente il livello tecnico sarà maggiore, così come la competizione e allora si torna ai discorsi fatti sopra che hanno poco di dilettantesimo e molto di professionismo. Una LegaPro ridotta significa riversare i problemi sulla LND. Credo che la riforma debba essere di più ampio respiro e concordata da tutti i livelli del calcio a partire dalla Serie A. Per la LND un’idea ce l’ho: se nel tuo statuto c’è scritto associazione sportiva dilettantistica sei obbligato ad allenarti dopo le 6.30 di sera, altrimenti devi trovare un’altra forma e dare maggiori tutele ai tuoi giocatori.

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2 comments

  1. romamici scrive:

    Intervista bella ed interessante. L’altra faccia del calcio di cui non si parla quasi mai.

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