Alla scoperta del ciclismo femminile: intervista all’ex atleta elite Alice Marmorini

Alice Marmorini al Giro d’Italia 2010

Il giorno dopo la fine del Giro d’Italia maschile, noi facciamo un tuffo nel mondo semi sconosciuto del ciclismo femminile grazie ad un’intervista con Alice Marmorini, ex atleta elite, che ci spiega come l’impegno e il sacrificio necessari per correre ad alti livelli siano proporzionali a quelli richiesti nel maschile. Levatacce al mattino per rimanere in forma, gare all’estero, doppie sedute di allenamento e studio nel poco tempo libero. Il tutto senza la gloria, le tutele e gli stipendi dell’universo degli uomini in virtù di quell’amore per la bicicletta che, se ti colpisce, ti porta a fare grandi sacrifici senza avere rimpianti.

Quando hai iniziato a praticare il ciclismo e quando sei arrivata a gareggiare nella massima categoria femminile?

Ho iniziato a praticare ciclismo quando avevo solo 7 anni, età minima per poter gareggiare, mentre sono diventata un’atleta elite nel 2007, all’età di 20 anni. Va detto comunque che il passaggio al “professionismo” è quasi automatico in campo femminile, non c’è una vera e propria selezione da parte dei team. Se dimostri di avere qualità nelle categorie junior  e ottieni buoni piazzamenti con le elite, allora il passaggio in una buona squadra è pressoché scontato.

Che impegno richiede il ciclismo a certi livelli?

Molto, è un lavoro a tempo pieno. Soprattutto nel periodo invernale è necessario effettuare carichi di lavoro doppi: la mattina palestra e il pomeriggio bici. Nel periodo senza gare poi, il weekend è generalmente dedicato alla resistenza e quindi si sta in bici anche 6 ore. Durante il periodo delle corse bisogna invece mantenere la condizione acquisita e per questo si effettuano degli allenamenti cosiddetti di “richiamo”, ovvero micro-cicli di forza-resistenza per richiamare appunto il lavoro svolto d’inverno, in vista di determinati appunti clou. Questo, soprattutto nel mio caso dato che soffro il caldo, mi imponeva di svegliarmi poco prima delle 5 di mattina ed di salire in sella già alle 6 per poter svolgere allenamenti specifici con temperature non proibitive. Va detto poi che il calendario gare in alcuni mesi dell’anno è molto serrato e questo condiziona anche il tipo di allenamento. Senza contare che si corre prevalentemente all’estero, dato che nella nostra penisola, se escludiamo il Giro d’Italia e quello di Toscana, si tengono solo altri cinque eventi al massimo.

Con lo stipendio che percepivi riuscivi a mantenerti?

Decisamente no. Nelle associazioni ciclistiche femminili lo stipendio corrisponde sostanzialmente ad un rimborso spese un po’ gonfiato.

Come sei riuscita a coniugare studio e sport?

Quando si hanno obiettivi chiari e la giusta determinazione, si riescono a fare cose che chi osserva da fuori non concepisce o non crede sia possibile fare. Studiavo e mi allenavo. Mi allenavo e studiavo. E’ stata una bella gara, soprattutto perchè non sono una che si accontenta facilmente e quindi cercavo di migliorarmi costantemente sia nello studio che nello sport.

Esiste il doping anche nel mondo del ciclismo femminile? 

Si, ci sono stati alcuni casi di doping anche nel ciclismo femminile di alto livello che però non hanno fatto ovviamente trambusto come quelli maschili.

Quali sono le principali differenze tra il ciclismo femminile e quello maschile?

Innanzitutto va detto che se è vero che il ciclismo in Italia è considerato dalla legge 81/91 sport professionistico, ciò non può dirsi per quello femminile, considerato a tutti gli effetti sport dilettantistico per la maggior parte delle atlete. Solo per quelle di altissimo livello, inserite in Gruppi Sportivi Militari, sarebbe corretto parlare di sport professionistico. Questo comporta a livello aggregato minor cash, assenza di un salario minimo previsto dalla legge, meno sponsor e meno interesse mediatico. Nel femminile mancano poi una managerialità specifica e organizzatori che sappiano valorizzare il movimento nella giusta maniera. Va inoltre aggiunto, tecnicamente parlando, che il ciclismo femminile prevede un divario molto netto tra categorie junior (17-18 anni) e il mondo delle elite (impropriamente professionistico). Non esiste una categorie intermedia (es. under23) come nella maggior parte degli sport. Numericamente in Italia non è possibile creare tale categoria perché siamo troppo poche. Questa categoria, nel femminile, esiste solo a livello di Campionati Europei ed è riconosciuta a livello di Giri a Tappe, come classifica delle giovani.

Perché hai deciso di smettere?

In uno sport di resistenza, impegnativo e duro come il ciclismo, quando allenarsi inizia a essere un peso, allora è arrivato il momento di smettere. L’ultima stagione, per questioni societarie e non, era stata priva di particolari stimoli nonostante avessi mancato per un soffio la prima vittoria tra le elite.

Col senno di poi rifaresti le scelte che hai fatto? 

Confesso di averci pensato più e più volte e alla fine arrivo sempre a concludere che rifarei le stesse scelte. Mi sento abbastanza appagata nonostante abbia smesso di correre presto. Ritengo di essermi ritagliata le mie piccole soddisfazioni sia nello sport che nello studio, anche perché riuscire a conseguire una laurea magistrale nonostante l’impegno richiestomi dal ciclismo non è cosa da poco.

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